Nel 2012 nella Regione di Wamba, R.D. del Congo, si è diffusa un’epidemia di malaria e salmonellosi come non era mai capitata. Centinaia di bambini dai 2 ai 6 anni stavano morendo nel giro di 48 0re. Una media di una ventina al giorno nella diocesi di Wamba. La S.O.S. ha deciso di intervenire immediatamente con trasfusioni e farmaci, sostenendo gli ospedali e i dispensari che erano sprovvisti sia di medicine che di sacche per il sangue. Con il nostro intervento sono stati salvati 720 bambini.
Da articolo scritto da Sonia Bonin, presidente dell’associazione, e pubblicato nel nostro notiziario di dicembre 2012:
“… credo che, a fronte di una situazione sanitaria tanto grave e indefinita, sia necessario rimandare il viaggio di Sonia. Non è il caso di affrontare un simile rischio: lo dico perché, oltre a volerle bene, penso che Sonia sia troppo preziosa per tutti…!” Queste le parole che Carlo inviò agli altri membri del direttivo, e che arrivarono in copia anche a me! Era la fine di maggio 2012!
Tutto era pronto e organizzato per il viaggio in Congo che era stato programmato per la fine del mese di giugno. Desideravo partecipare alle cerimonie di inaugurazione della Maison Famille a Isiro e del Centro nutrizionale a Wamba, visitare, per verificarne la salute, i tanti bambini malnutriti che da anni i benefattori della S.O.S. con generosità e perseveranza sostengono, e nell’occasione avrei partecipato anche al Giubileo di don André che proprio quell’anno festeggiava il suo venticinquennale di sacerdozio.
Ma, un mese prima della mia partenza, nel nord-est della R.D.C. Stava crescendo giorno per giorno la preoccupazione degli operatori sanitari locali di fronte alla grave diffusione di una malaria anomala che stroncava la vita di molti bambini e adulti.
Da Kinshasa mi arrivò il primo allarme di don André: aveva parlato con i responsabili della sanità al governo e aveva inviato sms (in quanto Radio Nepoko di Wamba da tempo non era funzionante) a suore, infermieri e sacerdoti che lavorano nel nord-est, per informare il maggior numero possibile di villaggi sull’estrema necessità di ricoverare con urgenza i malati nei vari centri sanitari, per sottoporli a delle trasfusioni con le quali potevano salvargli la vita. Effettivamente i decessi erano moltissimi, troppi, l’epidemia stava facendo strage, uccideva una ventina di bambini al giorno dai 2 ai 5 anni, solo nell’area della diocesi di Wamba.
Io ero in contatto giornaliero con l’abbé Cosmas, nostro referente locale, che mi teneva informata sull’andamento della situazione: gli ospedali erano incapaci di ospitare tanti malati, inoltre erano ormai sprovvisti di sacche per trasfusioni, di chinino e di altri medicinali. I pazienti erano tre/quattro per letto e i bambini guariti non erano dimessi finché non veniva saldato il conto delle spese ospedaliere (circa 15/50 dollari al giorno secondo la gravità del caso) che vengono pagate quasi sempre a rate. In ogni centro sanitario c’era molta confusione!!
I campioni di sangue da analizzare erano stati inviati a Kinshasa dove finalmente diagnosticarono la strana patologia: malaria con salmonellosi! Ecco perché morivano nel giro di due giorni: la febbre alta, la diarrea con vomito provocavano una grave anemia che li stroncava in 48 ore.
Mi sentivo addolorata, sconcertata e nello stesso impotente di fronte a tanta sofferenza e calamità. Riunii il Consiglio Direttivo e decidemmo di inviare 18.000 dollari per acquistare le sacche e medicinali che vennero distribuiti in parecchi centri di salute della zona. Furono salvati con questo nostro aiuto 723 bambini, ma purtroppo molti ne morirono.
Non posso e non voglio dire che volevo partire a tutti i costi, non sono un’eroina e nemmeno un’incosciente! I medici e i missionari locali mi tranquillizzarono in quanto chi era colpito dalla malattia faceva parte prevalentemente della fascia “debole” della popolazione (cioè soprattutto i bambini malnutriti). E così alla fine di giugno partii per il Congo, volevo vedere con i miei occhi cosa stava veramente succedendo in quella parte dell’Africa di cui si parla troppo poco, volevo toccare con mano quella realtà che aggravava la situazione di un paese già afflitto da tanti problemi. Il mio soggiorno in questo paese pieno di difficoltà mi ha fatto nuovamente riflettere profondamente e voglio coinvolgervi raccontandovi qualche episodio da me vissuto.
Il 6 luglio ebbe luogo l’inaugurazione della Maison Famille a Isiro, ma già dal settembre dell’anno prima, 2011, era stata avviata la scuola materna costruita all’interno della struttura. La celebrazione fu molto bella, suor Elodie aveva preparato tutto nei minimi particolari: eravamo tanti e i bambini orfani che noi sosteniamo erano bellissimi! La struttura è veramente bella e spaziosa, accoglie gli orfani che alloggiavano in un edificio vecchio e privo di servizi; inoltre è fornita di acqua corrente ed energia elettrica. Alla scuola accedono anche bambini della città di Isiro. Sarà certamente un complesso utile che potrà offrire una formazione integrale a molti bambini.
Il 7 luglio all’alba l’abbé Cosmas ed io dovevo partire per Wamba, ma sfortunatamente nella notte una pioggia torrenziale trasformò le strade in una poltiglia di fango. La strada Isiro-Wamba era impraticabile, dovemmo perciò cambiare percorso: in dieci ore arrivammo a Babonde, in piena foresta, dove c’è padre Renzo, missionario dehoniano padovano. Qui vissi delle esperienze molto dolorose, visitai l’ospedale di questo villaggio, era affollatissimo: bambini inermi, gravi per il loro sistema immunitario già indebolito dalla malnutrizione, giacevano immobili sul letto o per terra in attesa di una possibile ripresa e guarigione. Il loro sguardo era spento, il sorriso sul loro volto non c’era più e le corse per venirti incontro e prenderti la mano come loro consuetudine, erano diventate un ricordo. Le morti erano troppo numerose e alla sera spesso vedevo passare davanti alla missione qualche papà che portava tra le braccia il suo bambino che non ce l’aveva fatta e iniziava così il suo cammino verso il villaggio dove lo avrebbe sepolto vicino alla casa natia. La mamma lo seguiva piangendo ad alta voce e questo pianto angosciante, penetrante (Kilio) e pieno di dolore mi risuonava nelle orecchie anche la notte.
A metà luglio si inaugurò il Centro nutrizionale St.Pierre a Wamba costruito in memoria di Lidia Poletto e da lei finanziato. Il Centro è una bella struttura edilizia rispondente alle necessità di tanti malnutriti, può dare ospitalità anche notturna a più di 20 bambini che vengono da lontano ed è anche dotato di acqua corrente ed energia elettrica. La cerimonia è stata aperta con il discorso di mons. Justin Amboko, vicario generale di Wamba, ed è stato molto pregnante anche il discorso fatto da mons. André ricordando la sua infanzia, la sua crescita fisica e intellettuale: l’attenzione della famiglia che lo accudiva con cura sia nell’alimentazione che nella persona. Voleva essere un messaggio per le mamme dei bambini malnutriti che erano presenti e che non erano riuscite a far crescere sani i loro figli.
Ho proseguito poi il viaggio seguendo mons. André in alcuni villaggi e città dove desiderava festeggiare il suo 25° di sacerdozio per condividere nella preghiera la gioia di questa sua tappa importante. Ogni momento era un segno tangibile della stima e dell’affetto che tutti hanno per lui, infatti è indescrivibile la partecipazione di quanti l’avevano conosciuto: da ogni parte era una festa di fiori, canti, balli e di regali.
Il lungo volo per i cieli africani volgeva al termine: Congo, foreste, deserti, sabbie, che non mi lasciano mai indifferente e che nel mio immaginario di un tempo avevo ritenuto essere troppo lontani per raggiungerli.